Le chinesi

Quasi tutti i pazienti mi hanno chiesto perché si chiamano così. Chi si è cimentato col greco nei sui studi liceali non ha ritenuto necessario farmi la domanda. Nel greco antico infatti (e forse anche in quello moderno, ma non chiedetemi troppo) κίνησις (si legge kinesis) significa movimento (si pensi alla parola italiana “cinema”, che ha la stessa derivazione e significa sostanzialmente immagini in movimento), quindi la chinesi è una terapia di movimento.
Si applica infatti a situazioni in cui, ad esempio, le articolazioni siano bloccate, può capitare spontaneamente (come nella cosiddetta spalla congelata) oppure dopo traumi o interventi chirurgici, in ogni caso il corpo da solo difficilmente riesce a risolvere queste rigidità ed ha bisogno di una chinesi, appunto una mobilizzazione che inizialmente può essere passiva, il fisioterapista che muove l’articolazione mentre il paziente sta più rilassato possibile, oppure attiva, cioè con movimenti che il fisioterapista chiede di eseguire al paziente a supporto delle sue mobilizzazioni passive.
Le chinesi non dovrebbero mai essere dolorose, il dolore induce contrattura muscolare reattiva e rende più difficile la mobilizzazione, oltre e ovviamente ad essere difficile da tollerare. Un bravo fisioterapista riesce a trovare il giusto compromesso tra un fastidio tollerabile ed una energia sufficiente a produrre un buon risultato. Le sedute ovviamente portano progressivamente alla meta, ogni volta che il paziente si mette nella mani del fisioterapista compie un piccolo pezzetto di strada, spesso non percettibile; capita infatti che per varie sedute non si recuperi nulla, e poi la sedute successiva dia il frutto che le precedenti hanno preparato. Molto importante è anche valutare lo stop articolare, che può essere più o meno elastico e fornisce a chi le sa interpretare importanti informazioni sullo stato della patologia e sulla progressione della riabilitazione.
Dott. Paolo Tamaro


