Edema osseo

Dott. Paolo Tamaro • 7 ottobre 2024
Mano tiene tecar su caviglia

Un dolore protratto a lungo, gli esiti di una immobilizzazione associata ad una insufficiente mobilizzazione successiva, sovraccarichi strutturali, solo per citare alcuni esempi, possono portare ad una situazione in cui all’interno dell’osso troviamo una demineralizzazione localizzata associata ad un essudato interno all’osso. In certi distretti corporei tale patologia è più insidiosa, ad esempio sul piatto tibiale può causare fratture per indebolimento dell’osso. Va quindi considerata con attenzione, il sospetto clinico va appurato con una risonanza magnetica, anche se in quadri clinici più avanzati tali edemi possono essere visti, in taluni distretti corporei, anche con una radiografia. L’edema osseo può interessare, ad esempio, una vertebra, in seguito ad una situazione infiammatoria che non ha trovato soluzione, spesso lo ritroviamo nel polso dopo fratture anche non complesse, ma che dopo la rimozione del gesso abbiano avuto un tempo troppo lungo di inerzia prima dell’inizio della mobilizzazione o quando il paziente, talora per timore, tenga l’arto troppo a riposo e lasci il compito di mobilizzarla soltanto al fisioterapista. Un’espressione avanza della situazione che porta all’edema osseo è l’algo-neuro-distrofia, che all’edema associa arrossamento, calore cutaneo e forti dolori.

L’edema osseo o le sue espressioni più avanzate è meglio prevenirle che curarle: mobilizzazioni articolari corrette ed eseguite nei tempi giusti, educazione del paziente, cure opportune quando i dolori si protraggono, sono ottime prassi. La terapia consigliata può essere molto variabile a seconda dell’espressione della patologia, indubbiamente aiuta la magneto-terapia, la TECAR, le terapie sistemiche osteotrofiche. Indispensabile una corretta mobilizzazione passiva ed attiva.


Dott. Paolo Tamaro

vertebre
Autore: Dott. Paolo Tamaro 14 luglio 2025
I più diranno: mai sentito! Eppure la maggioranza dei disturbi della colonna vertebrale parte da lui . Come noto, le vertebre si muovono l’una sull’altra, ruotano quasi, e questo grazie a tutte le strutture anatomiche presenti nel segmento mobile intervertebrale. Iniziamo a parlare delle faccette articolari, le principali responsabili del movimento delle vertebre; sono quattro per ciascuna vertebra, due si articolano con la vertebra sopra e due con quella sotto, ovviamente a destra e sinistra. Il disco (sì, quello della famosa ernia) fa quindi solo da perno per il movimento. A queste strutture si aggiungono muscoli di vario tipo e legamenti, su cui in questa sede non mi dilungherò. Ma perché il segmento mobile è così importante nella genesi dei dolori della colonna? A causa di un meccanismo che il dott. Maigne, medico fisiatra di Parigi a cui si deve il famoso metodo manipolativo che io seguo, ha chiamato DIM nella traduzione italiana, cioè Disturbo Intervertebrale Minore . Si tratta di una irritazione del segmento mobile intervertebrale dovuto principalmente all’alterato movimento di una faccetta articolare (quindi ad esempio a posture scorrette che privilegiano la movimentazione di altre vertebre) che causa una infiammazione dell’articolazione (come tutte le articolazione, anche quelle delle vertebre non tollerano di essere mobilizziate parzialmente e quindi si infiammano, provate a tenere un polso ad un range articolare dimezzato per un anno e vedrete che presenterà fenomeni infiammatori, ma credetemi sulla parola, non fatelo sul serio). Questa infiammazione coinvolge nel tempo le altre strutture muscolari ed i legamenti del segmento mobile intervertebrale e causa appunto il DIM , situazione dolorosa che inizialmente può essere evidenziata solo con una pressione del processo spinoso della vertebra (quello appuntito che sentite sotto la pelle), poi diventa doloroso di suo e determina la contrattura muscolare della muscolatura paraspinale, quella che potete sentire accanto alla colonna. Ed ecco le cervicalgie e le lombalgie, passando per le dorsalgie. Ma come tutto ciò porta ad una cura? Nelle fasi inziali il DIM può essere manipolato (dal medico chirurgo col metodo di Maigne! ) che valuta con cura alcuni paramenti essenziali, oltre un certo limite non è più manipolabile, quindi si opta per il rilassamento della muscolatura coinvolta (massoterapia trasversale profonda) e la riduzione dell’infiammazione del segmento mobile intervertebrale (TECAR) . Poi si consiglierà al paziente una corretta ginnastica medica . Da questo si evince anche l’ importanza della prevenzione : i dolori della colonna sono risolvibili con una certa facilità agli inizi, quando ed entro una certa età possibile manipolare la colonna con ottimi risultati. Quando la patologia è avanzata, le manipolazioni non sono più eseguibili le terapie funzionano, ma diventano molto più lunghe. Dott. Paolo Tamaro
fisioterapista
Autore: Dott. Paolo Tamaro 30 giugno 2025
Quasi tutti i pazienti mi hanno chiesto perché si chiamano così. Chi si è cimentato col greco nei sui studi liceali non ha ritenuto necessario farmi la domanda. Nel greco antico infatti (e forse anche in quello moderno, ma non chiedetemi troppo) κίνησις (si legge kinesis) significa movimento (si pensi alla parola italiana “cinema”, che ha la stessa derivazione e significa sostanzialmente immagini in movimento), quindi la chinesi è una terapia di movimento. Si applica infatti a situazioni in cui , ad esempio, le articolazioni siano bloccate , può capitare spontaneamente (come nella cosiddetta spalla congelata) oppure dopo traumi o interventi chirurgici, in ogni caso il corpo da solo difficilmente riesce a risolvere queste rigidità ed ha bisogno di una chinesi, appunto una mobilizzazione che inizialmente può essere passiva , il fisioterapista che muove l’articolazione mentre il paziente sta più rilassato possibile, oppure attiva , cioè con movimenti che il fisioterapista chiede di eseguire al paziente a supporto delle sue mobilizzazioni passive. Le chinesi non dovrebbero mai essere dolorose , il dolore induce contrattura muscolare reattiva e rende più difficile la mobilizzazione, oltre e ovviamente ad essere difficile da tollerare. Un bravo fisioterapista riesce a trovare il giusto compromesso tra un fastidio tollerabile ed una energia sufficiente a produrre un buon risultato. Le sedute ovviamente portano progressivamente alla meta, ogni volta che il paziente si mette nella mani del fisioterapista compie un piccolo pezzetto di strada, spesso non percettibile; capita infatti che per varie sedute non si recuperi nulla, e poi la sedute successiva dia il frutto che le precedenti hanno preparato. Molto importante è anche valutare lo stop articolare, che può essere più o meno elastico e fornisce a chi le sa interpretare importanti informazioni sullo stato della patologia e sulla progressione della riabilitazione. Dott. Paolo Tamaro
Autore: Dott. Paolo tamaro 14 maggio 2025
Sostanzialmente possiamo far risalire le cause degli ematomi del muscolo a traumi diretti od a strappi muscolari . Sono lesioni tipiche degli sportivi che incorrono in uno stiramento muscolare eccessivo tale da determinare la rottura di un certo numero di fibre muscolari. La rottura determina il sanguinamento che viene contenuto dai tessuti circostanti formano una sacca, appunto l’ ematoma muscolare . I traumi diretti al muscolo agiscono in modo simile, ma l’impulso traumatico è angolato rispetto alle fibre muscolari e può fare quindi più danno, dalla superficie in profondità. In quest’ultimo caso la parte visibile della raccolta ematica, il cambiamento di colore della cute, è visibile in tempi ravvicinati al trauma. Negli strappi muscolari invece in genere accorrono alcuni giorni per vedere l’aspetto cutaneo dell’ematoma. E’ poi esperienza comune il variare dei colori sulla pelle delle raccolte ematiche, dapprima rosso-violacee, poi nel trascorre dei giorni il colore vira al giallo, per ossidazione del ferro contenuto nell’emoglobina. Bisogna ricordare che la parte visibile sulla pelle è solo la porzione più periferica dell’ematoma, la raccolta ematica è più profonda e spesso non guarisce quando il colore sulla pelle è scomparso. La raccolta ematica infatti, su giudizio del medico, va esaminata con un’ecografia per valutarne posizione e dimensioni. Va evitato il più possibile che la raccolta si organizzi divenendo solida, il tempo a disposizione non è molto. Le principali terapie fisioterapiche comprendono il TECAR direttamente sulla lesione e la massoterapia dei tessuti circostanti , al fine di ottenere un'esito cicatriziale interno ridotto al minimo e promuovere la guarigione attraverso il riassorbimento del liquido. Ancora utili, ma sempre meno usati, gli ultrasuoni , mentre per certe raccolte il fisiatra prescriverà le onde d’urto . In pochi casi si esegue l’ago-aspirato in ambiente sterile.  Dott. Paolo Tamaro